8 dicembre 1942: la notte che bombardarano Madonna di Campagna
Le pagine che state per leggere sono state trattate integralmente
e senza modifiche dal giornalino della Parrocchia Madonna di Campagna.
Questo racconto, letto in teatro l'8 dicembre 2002 dagli attori
Dana Caresio e Raffaele Montagnoli, è stato raccolto e redatto
da Ezio Manna.
Quello che stiamo per proporvi è la testimonianza di alcune
persone che vissero il bombardamento dell'8 dicembre 1942. Sono
ricordi nitidi, rimasti impressi come una fotografia scattata da
poche ore. I capelli dei protagonisti ora sono bianchi, la ricostruzione
non ha la pretesa di essere storia: quasi sempre i libri di storia
sono scritti dai vincitori, questo invece è il racconto di
coloro che, allora giovani e bambini, hanno vissuto la tragica esperienza
della guerra e, come tutto questo borgo, sono rimasti feriti, non
nel corpo, ma nell'animo e nelle cose più care.
Madonna di Campagna, borgo contadino ed operaio il cui punto di
riferimento era la Parrocchia ed il convento dei frati cappuccini:
comunità attiva, chiesa, oratori, confraternite, spazi per
l'attività sportiva.
Carlo ricorda con nostalgia il suo vecchio borgo. Quanto era diverso il quartiere da quello in cui oggi viviamo!
Campi arati, coltivati a frumento, segala, avena, mais, prati e
boschi, una rete di canali per l'irrigazione: appezzamenti modesti
con l'uomo protagonista e cavalli, mucche e buoi validi complementi
nel duro lavoro quotidiano. Orti che forniscono gustose e profumate
verdure, allevamenti famigliari di polli e conigli: Zona fondamentalmente
agricola quindi. Ma esistono già moderni insediamenti industriali
(CIR e Paracchi) e molte imprese artigiane e commerciali.
È martedì 8 dicembre 1942. L'Italia è in guerra
da quasi diciotto mesi. In Africa abbiamo subito da poche settimane
una bruciante sconfitta e l'aviazione inglese bombarda costantemente
il triangolo industriale del nord.
Il giorno dell'Immacolata è limpido, la temperatura è
fredda. Dopo la messa i ragazzi sono raggruppati sul sagrato della
Chiesa a parlare dei recenti avvenimenti: Li abbiamo chiamati ragazzi
forse impropriamente: gli eventi, le prove di un conflitto ormai
lungo e snervante, dopo l'illusione iniziale della guerra lampo,
hanno reso precocemente maturi quei giovani.
L'argomento della conversazione fra Gianni ed i suoi amici sono
i bombardamenti ormai frequenti e le misure di sicurezza per evitare
conseguenze nefaste. Si discute sulla validità dei rifugi
antiaerei, sulla loro dislocazione nel territorio.
Padre Curato ( che da poco tempo è alla Madonna di Campagna) e Padre Celestino prospettano la possibilità di recarsi, in caso di allarme, nei sotterranei della Chiesa. Molti ne esaltano la solidità, altri ne contestano la fragilità. Tantissimi ritengono di avere sufficienti garanzie dalle cantine sotto le loro case.
La mattina scorre tranquilla. È un giorno di festa: è la festa della Madonna e la nostra chiesa è dedicata alla Madonna.
Nel pomeriggio, poco prima delle diciassette, molti borghigiani si recano nuovamente in Parrocchia per partecipare al Vespro solenne in onore della Vergine Immacolata.
All'uscita è ormai buio; Laura, con le sue amiche, si affretta
verso casa, poco oltre Corso Grosseto. Il cielo continua ad essere
terso, un soffitto blu con mille stelle che brillano come diamanti
ed una luna bianchissima che illumina i passi frettolosi degli ultimi
ritardatari.
Poco dopo cena, intorno alle otto e mezzo, le luci diminuiscono
d'intensità: è il preallarme. Gianni ed i suoi amici
sono in casa, in Via Stradella: si dividono. Gianni scende nello
scantinato della propria abitazione, Marsilio si rifiuta di recarsi
nel sotto-chiesa.
Boby, il cagnolino di Carlo guaisce ed è irrequieto nella sua casa di Via Barberis. Carla sente Lila, la cagnetta del lattoniere del borgo, in Via Ghiberti, che richiama i padroni; molti si affrettano nelle cantine: sono passate da poco le nove.
Il papa di Giovanni, per un impegno di lavoro, non può raggiungere, per le festività, i famigliari sfollati poco oltre Casale: si rifugia sotto la Chiesa.
Il lugubre ululato delle sirene annuncia l'imminente passaggio
degli aerei inglesi: La figlia del lattoniere con il marito, militare
in licenza, freschi sposini, si rifugiano nei sotterranei della
Parrocchia dove già si trova il papà di Giovanni,
la sorella dodicenne di Alberto con Alberto. Alberto e sua mamma
sono invece in casa, all'inizio di Via Venaria.
I genitori di Carlo, raccolte come d'uso le cose di prima necessità
e pochi oggetti di valore, stanno per recarsi in Chiesa, ma sono
dissuasi dalla fioraia di Via Stradella, che li invita nella villa
di suo fratello Carletto: si avventurano per quasi un chilometro,
fra prati e fossati, e giungono ansimanti poco prima delle basse
di Stura, in Strada delle Campagne.
Le artiglierie contraeree hanno già iniziato il loro fuoco di sbarramento: Laura scende nelle cantine della sua casetta in Via Caluso: è con il papa e i tre fratelli; si sentono al sicuro anche se quel locale ha ben poco del rifugio antiaereo.
Il nostro quartiere non aveva subito gravi danni. Spesso l'aviazione
inglese sorvolava la nostra città per spingersi verso la
costa ligure, dove i porti erano strategicamente più importanti.
Ma questa sera, stranamente limpida e luminosa (è da quella
notte che i vecchi torinesi definiscono notte da inglesi le sere
invernali particolarmente serene), quegli enormi uccelli di morte
si abbassano, aprono il loro ventre e scaricano un'enorme quantità
di bombe su Torino. Il frastuono è assordante, lungo, martellante.
I muri spessi delle nostre vecchie case tremano, le porte delle
cantine si spalancano, i vetri saltano, le serrande dei negozi si
gonfiano, un polverone enorme ristagna nel Viale e nelle vie adiacenti.
Due ordigni colpiscono la Chiesa: uno sul portale e l'altro all'altezza
dell'altare maggiore.
Il bombardamento è finito. In Strada delle Campagne Carletto
risale all'aperto, si guarda intorno, rientra tra parenti e amici
e li rassicura: A Madonna di Campagna non è successo nulla.
C'è qualche incendio, ma il campanile della Chiesa è
al suo posto.
Cessa l'allarme. Laura ed i suoi fratelli sentono un trambusto,
alcune persone corrono per strada dicendo che è stata colpita
la chiesa: Escono di corsa, percorrono un viottolo che da Via Caluso,
passando in mezzo agli orti, attraversa Corso Grosseto e porta in
Via Cardinal Massaia. Si dirigono verso la Chiesa, intravedono la
sagoma del campanile e, per un attimo, si illudono che le voci che
avevano udito fossero infondate.
Poi si accorgono che mattoni, pietre, pavimenti, sono sparsi lungo la via. Arrivano sul luogo del disastro: appare ai loro occhi uno spettacolo sconvolgente. Un enorme cumulo di macerie, irreale.
Gianni esce dalle cantine di Via Stradella, svolta nel viale, quel
viale che aveva come sfondo la facciata della Chiesa: è come
un grande salone senza una parete, si vede il vuoto oltre le rovine.
Solo il campanile si erge ritto, come una sentinella, silenzioso
testimone di quell'orribile spettacolo di morte: il suo orologio
segna le 23.12.
La mamma di Alberto, da Via Venaria viene verso la chiesa per cercare
sua mamma e sua figlia. Alberto, otto anni, rimane circa un'ora
in casa, poi esce per cercare mamma, sorella e nonna. Arriva in
fondo al Viale, proprio di fronte alla grande croce, e vede un tram
vuoto: I passeggeri sorpresi dall'allarme, erano scesi e si erano
rifugiati sotto la chiesa.
Non è facile arrivare in prossimità di quell'immane
cumulo. I fili elettrici sono aggrovigliati agli alberi, ai resti
del monumento alla Patria, alla sua recinzione metallica. Vittorio,
cugino di Gianni, ha appena estratto dalle macerie Padre Teodoreto:
è vivo seppur ferito. I lavori di sgombero proseguono incessantemente;
l'affannosa ricerca, resa ancora più ardua dall'assillante
pressione dei parenti e amici accorsi sul luogo, portano alla luce
anche un uomo ancora in vita.
Prosegue nei giorni seguenti l'alacre lavoro per il recupero delle
vittime. Sul cumulo di macerie, il personale dell'UNPA ( la protezione
antiaerea) e molti volontari scavano alla ricerca dei morti: li
collocano in chiare bare di legno. Ove possibile viene apposto un
cartoncino di riconoscimento. Enrico ricorda l'affiorare di corpi
vagamente assomiglianti a statue di terracotta.
Viene ritrovata l'effige della Madonnina: è intatta.
Le Ostie consacrate sono rimaste sepolte sotto una pesante lastra
di marmo dell'altare maggiore; il tabernacolo è completamente
sfasciato. Viene aperto uno strettissimo cunicolo appena sufficiente
per il passaggio di un ragazzino. Enrico e Franco, avuta la dispensa
da Padre Virgilio recuperano le Sacre Speci. Malgrado lo sfacelo,
poco distante dal tabernacolo distrutto, i due ragazzi trovano un
uovo, intatto.
Per giorni e giorni i borghigiani si cercano, si interrogano sulle
assenze dell'uno o dell'altro amico o parente. Alcuni devono costatare
la distruzione delle loro case,altri sono alla disperata ricerca
di chi non si trova.
Giovanni rientra da Casale a Torino. Per quindici giorni cerca il
padre. Ne ritrova il corpo, orrendamente mutilato, all’obitorio
del cimitero di Corso Novara. E dovrà attendere quasi sedici
anni per avere l'assoluta certezza che la tomba su cui si era recato
spesso a pregare era quella del suo papà.
Carlo è sfollato con altri bambini e ragazzi della sua famiglia
a pochi chilometri da Chieri. Le comunicazioni sono interrotte,
i trasporti inesistenti, le notizie frammentarie. Carlo ed una delle
sue sorelle decidono di scendere a Torino. Sono accompagnati da
un contadino e, in bicicletta, si avventurano attraverso il Pino
sino alla Madonna di Campagna. La chiesa non c'è più
e non ci sono più i genitori di questi bambini. La loro casa
in Via Barberis è semidistrutta: saracinesche sventrate,
frammenti di vetro, calcinacci dappertutto. Mentre i due bambini,
piangenti, vengono assaliti dal dubbio che mamma e papà siano
rimasti sotto la chiesa, vedono i genitori comparire dal fondo di
Via Stradella. Stanno rientrando da Ciriè, dove erano sfollati
per l'inagibilità della loro casa. Carlo, felice per il ricongiungimento
del nucleo familiare, si reca nel proprio cortile per verificare
lo stato delle colture di gerani e oleandri: la sua attenzione è
attratta da un piccolo rotolo di carta stretto da un elastico. Lo
raccoglie, lo srotola e appare un'immagine del Sacro Cuore di Gesù
che reca sul basso una scritta: "Proteggerò la casa
in cui la mia immagine sarà esposta e venerata". Si
reca subito in solaio ed appende quel foglietto ad un chiodo sporgente
dalla colonna centrale del tetto.
Da quel giorno, sino al ritorno della pace, la casa di Carlo non subirà più danni.
Questo nostro racconto è una testimonianza vera: donne e uomini feriti, non nel corpo ma negli affetti, sono oggi presenti in mezzo a noi e vi hanno raccontato un pezzo della loro storia; è la storia tragica, tragica come ogni guerra. È la storia di un borgo ferito, colpito al cuore, privato del luogo di aggregazione più significativo.
I morti rivivono oggi nella nostra memoria: le nostre preghiere li accomunano con tutte le vittime dei bombardamenti su Torino, a tutte le vittime di quella guerra atroce, di tutte le guerre di ieri e di oggi.
Parlando con i testimoni del tempo abbiamo percepito la loro sofferenza e raccolto il loro messaggio di perdono e di pace, la loro speranza di vivere serenamente il tempo della maturità e della vecchiaia senza più guerre.
Guerra non è solo assenza di pace: e mancanza di amore, è
mancanza di rispetto dell'altro è non accettare colui che ha
un colore diverso della pelle, un differente credo religioso o politico.
Occorre che i cristiani alzino la voce e si schierino dalla parte
dell'uomo.
Il mondo deve riconoscere la forza e l'attualità del messaggio
cristiano dalla dedizione e dal coraggio con cui ogni credente opera
per la pace oggi, domani, sempre, per ogni uomo e per tutti i popoli
della terra.
Quella chiesa distrutta l'8 dicembre 1942 è stata ricostruita.
E da cinquant'anni è ritornata ad essere punto di riferimento
di un quartiere vivo ed operoso.
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