Partiti siamo partiti … e partiti eccome, con una Rando
di Vigone corsa (ed è proprio il caso di dirlo) a quasi
28 di media, che non saranno poi molti se confrontati alle medie
di giovani e giovanissimi, ma pur sempre tanti se tenuti su oltre
200 km con qualche collina ed una salita alpina, al cospetto del
Monviso.
Partiti siamo partiti, quindi, purtroppo senza Claudio Artico
fermato da un infortunio e senza Sergio per solidarietà
paterna, ma con Aldo Limone, Clemente Maina, Enrico Cannoni, Guido
Conte e l'amico Luigi Antonielli, accompagnati dagli immancabili
errori di gioventù, come la mancata conoscenza del percorso
che ha obbligato i Nostri a sottostare alle altrui velocità
per non perdersi nella campagna saluzzese, attenti solo a non
staccarsi da chi conosceva o mostrava comunque di conoscere la
strada.
Ed allora occhio per il futuro al pacco-gara che alcune Rando
offrono o comunque all'indispensabile road book, che permette
di prevedere bivi e svolte senza obbligare tutti a mulinare a
testa bassa come in una cronosquadre.
Però il tempo pur incerto ha retto … e le gambe
pure, anche di fronte alle inaspettate asperità del Roero,
sottostimate da qualcuno al momento di presentare agli altri la
Rando di Vigone come una sorta di prova autostradale.
Quanto alla gara due sole notazioni, dedicate entrambe più
che alla tecnica vera e propria, all’importanza di un giusto
atteggiamento psicologico, mai spavaldo ma neppure preda del facile
sconforto.
In fondo, ad ogni gara i primi chilometri sono quasi sempre trascorsi
col pensiero che – a quel ritmo – non reggeremo certo
fino alla fine, ma poi come d’incanto – alle prime
salite o perché quel pensiero è più diffuso
di quanto credessimo – il ritmo cala ed ognuno ne ritrova
il proprio, tenendo fede da quel momento in poi all’unico
imperativo di finire la prova.
Ed allora la prima nota è da dedicare all'attenzione ai
moltissimi dati che i moderni ciclocomputer offrono al ciclista
e che sono certamente assai utili per controllare la prestazione,
ma talvolta hanno gravi effetti collaterali sul morale, quando
confermano la teorica impossibilità di affrontare ciò
che – comunque – si sta affrontando …
Nel ciclismo, come in fondo nella vita, testa e gambe vanno insieme
e se la prima crolla, tutto segue ed allora – soprattutto
in salita – unico riferimento deve restare la nostra sensazione,
adeguando il passo e magari suddividendo psicologicamente lo sforzo
in tratti brevi – da una curva alla successiva – lasciando
al dopo il vanto della percentuale.
La seconda notazione è ancora dedicata alla salita, croce
e delizia del pedalatore, ed al fatto che la gara – sia
essa una Rando o una Granfondo – non pare essere il luogo
ideale per fare esperimenti o lavori specifici, entrambi certamente
assai utili ma da riservare agli allenamenti.
Ancora una volta è la testa a condurre, partendo col solo
obiettivo di arrivare e non certo con quello di provare a pedalare
più duro o fare sforzi maggiori o diversi da quelli comunque
necessari a concludere la prova, primo, costante ed unico pensiero.
Toccherà poi al primo allenamento successivo alla gara
– dopo quello dedicato allo scarico – valutare se
quanto si è fatto andava fatto e fatto così, magari
riprovando su un tratto simile a quello percorso in gara –
se non meglio ancora sullo stesso – ad affrontarlo in modo
diverso, tenendo comunque conto che la pressione psicologica di
una gara – sia essa tanto di stimolo quanto di freno –
non sarà mai riproducibile se non al prossimo appuntamento
agonistico, cui arriveremo però sempre più preparati
e consapevoli di quanto ci attende.
Non credete?
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